giovedì 6 aprile 2017

Recensione Ghost in the Shell

Coloro che pensavano di ritrovare nella pellicola di Rupert Sanders le stesse emozioni vissute nel manga diretto da Mamoru Oshii sicuramente solo rimasti delusi.

Malgrado lo sforzo di riprodurre le stesse ambientazioni e la gran quantità di effetti speciali utilizzati, e la scelta della bellissima Scarlett Johansson, non riescono a mantenere il patos che ci avevano trasmesso i disegni della cyborg Motoko Kusanagi, sempre in bilico tra la ricerca della propria parte umana (Ghost) e la consapevolezza di un corpo pressoché indistruttibile (Shell).
Migliore impressione fa sicuramente il suo partner Batou, che interpretato da Pilou Asbeak mantiene quasi intatte non solo le fattezze fisiche ma anche il carattere protettivo e nello stesso tempo scontroso del proprio alterego visto nel manga.
Gli altri personaggi del film di animazione non emergono quasi per nulla dando poco risalto alla differenza tra umano e cyborg che si riscontra non solo nei dialoghi tra i vari agenti della Sezione 9 ma anche in brevi e significativi scorci di vita, nella pellicola per nulla menzionati.
Anche le ambientazioni non rendono al meglio, se nel film-animazione del 1995 la dovizia di particolari dove il degrado e il caos metropolitano la facevano da padrone e le atmosfere molto cyberpunk avevano dato a tutta la storia una connotazione assai cupa e intrisa di futurismo alla blade runner, nella trasposizione cinematografica il degrado si va via via perdendo lasciando spazio ad una metropoli dove ad essere messi in primo piano sono quasi solamente gli ologrammi forse un po' troppo asfissianti che si notano in ogni dove a far da ornamento ai grattaceli della metropoli.
La trama è un potpourri dei manga della serie "Ghost in the Shell" che sono usciti alla fine degli anni '90 ma questo non sminuisce l'idea di dare una connotazione precisa all'eroina che va cercando sé stessa più che dar la caccia ai malfattori come dovrebbe essere visto l'incarico che ricopre alla Sezione 9.
Molto bella l'idea di lasciare al capo della Sezione la lingua originale. Il giapponese lo pone ancor più in contrasto non solo con i suoi sottoposti, ma anche con l'avanzare della società sempre più immersa nella tecnologia e distaccata dall'umanità e dalle tradizioni.
Un piccolo appunto per la colonna sonora. Apprezzatissima, ben calibrata e riuscita nel manga, al contrario nel film non riesce quasi per nulla a sottolineare le varie fasi della vicenda lasciando solo ai titoli di coda l'ebbrezza di riascoltare quelle voci e quelle melodie che tanto avevano caratterizzato la pellicola originale. Voto 6


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