sabato 1 ottobre 2016

Ombre di Roger


La donna guardò nel buio profondo della stanza, i suoi occhi azzurri al principio non distinsero nulla, poi a poco a poco lo sguardo sembrò abituarsi. Ombre danzavano intorno a lei, le vide, qualche secondo dopo vide i loro occhi bianchi e quando aprirono la bocca in un sorriso sgraziato notò anche i loro denti emettere un luccichio sinistro.
Chiuse gli occhi, il suo corpo fu percorso da un brivido, la paura si impadronì di lei, fu solo un attimo, poi qualcosa la sfiorò e allora, al contrario di quanto si potesse pensare, un nuovo sentimento nacque dentro di lei e la fece sussultare.
Riaprì gli occhi, sorrse e una delle ombre si staccò dal circolo che le stava danzando attorno, si avvicinò a lei, sentì il freddo che quel corpo emanava, poi d'improvviso sentì il suo tocco gelido.
Le dita di quella creatura si intrecciarono con le sue e all'orecchio destro le giunse un sussurro.
"Unisciti a noi"

Da tempo Irene soffriva, aveva fatto diversi esami, e passato in rassegna medici di ogni genere, la risposta era stata ogni volta differente, nessuno le aveva dato delle certezze, anzi, al contrario avevano fatto salire la sua ansia e la voglia di chiudere il capitolo più difficoltoso le si era affacciato più volte alla mente. Farla finita.
Quella sera, dopo il lavoro, aveva accettato l'invito di Roger, uno stagista che si era unito al gruppo di sperimentazione solo da pochi giorni. Non aveva mai avuto modo di parlare con lui, ma a pelle, sembrava simpatico e dopo diverse sue richieste cadute nel vuoto, aveva deciso di accettare, così, forse per vincere la noia delle ultime serate passata sulla poltrona della nonna defunta a guardare il monitor della televisione che a suo dire poteva anche essere spento da quanto le piacessero i programmi che si affannava a ricercare pigiando convulsamente i numerosi tasti del telecomando.
Roger, rossiccio di capelli e lentigginoso, si era offerto di prendere la sua auto e l'era andata a prendere all'ingresso dello stabile dove il gruppo di giovani dottorandi stava muovendo i primi passi verso una cura sperimentale, loro naturalmente, speravano in un successo pieno, ma le numerose cavie morte che si erano lasciati alle spalle non avevano dato grandi speranze al luminare di oncologia che un giorno sì e uno no, li pungolava per ottenere un successo pieno.
"Dove si va?"chiese Irene dando un'occhiata veloce allo schermo del proprio smartphone.
"Ti porto in un posto dove sicuro non sei mai stata" disse Roger con un'aria di misero.
La donna aggrottò la fronte, stava per dire qualcosa ma la macchina davanti a loro frenò bruscamente e la manovra sper schivarla le fece morire la curiosità di indagare ulteriormente.
"Attento!" disse urlando.
Roger si limitò a sbuffare e poi riprendendo il controllo della macchina pigiò sull'acceleratore uscendo finalmente dall'ingorgo cittadino e portandosi su una strada secondaria deserta.
"Non vorrai portarmi in camporella vero?" chiese Irene mettendosi poi a ridere tradendo un po' di tensione.
"Ma ti pare?" ridacchiò Roger.
"Roger, nome strano per un ragazzo che vive nella bassa" prese a dire Irene cercando di mitigare la tensione.
"Tutta colpa di mia madre" sembrò scusarsi il ragazzo "ha studiato all'estero e là ha conosciuto mio padre, poi, insieme si sono trasferiti qui" il tono andò in calando con un pizzico di rammarico nella voce.
"Speravi che restassero in quel luogo pieno di leggende, dillo su, dillo" disse Irene guardando poi la strada che andava via via sgretolandosi sotto le loro gomme.
"Sarebbe stato bello" disse d'impulso, poi sembrò cambiare idea e aggiunse "forse..." ma non finì la frase, inchiodò d'improvviso e guardando Irene sorrise innestando poi la retro "ho saltato la via".
Irene rimase in silenzio e guardando a destra e a sinistra vide alcune lucine fioche spuntare qua e là alla destra "questo posto mette i brividi" disse mentre Roger infilava l'auto in una stradina sterrata.
"Non temere, è sicuro" disse Roger abbozzando un sorriso e proseguendo il discorso precedente "dicevo, forse sì, sarebbe stato bello".
Irene non fece caso alle ultime parole del ragazzo alla sua sinistra, piuttosto guardò le luci diventare sempre più grandi e finalmente intravide anche la sagoma di ciò che le conteneva.
"D... d... dove mi hai portato?" chiese balbettando.
"A casa mia" disse con naturalezza il ragazzo mentre fermava l'auto.
Irene guardò Roger e poi la struttura davanti a loro, non l'avrebbe definita una casa nel vero senso della parola, e lì per lì non seppe davvero come definirla, quindi sospirando tornò a guardare il conducente dell'auto "questa sarebbe casa tua? Ma dove cazzo abiti?".
"Qui" si limitò a dire il ragazzo "ora scendiamo e te la mostro. Del resto ti avevo detto che ti avrei portato in un posto che non avevi ancora visto".
Irene scosse la testa, non era certo paurosa, e la curiosità si impadronì ben presto di lei. Abitava da sempre nella cittadina e mai, dico mai, aveva preso quella strada. Le sembrò davvero strano e quando Roger si slacciò la cintura il clangore la fece soprassedere e fece un balzo improvviso.
"Paura?" chiese il giovane stagista notando quel sobbalzo improvviso.
"No, no, ci mancherebbe" disse la ragazza forse più per rassicurare se stessa che non lui e a sua volta si slacciò la cintura e aprì la portiera.
L'aria umida la investì come un treno in corsa passando veloce a fianco dei passeggeri che in piedi attendono sulla banchina.
Il vestito si appicciò al suo corpo e la fronte le si imperlò di sudore.
Roger la imitò e senza pensarci scese dall'auto passando veloce davanti ad essa e raggiungendo la portiera della ragazza "vuoi una mano?"
Irene in tutta risposta posò prima uno poi l'altro piede fuori dall'auto e quindi mosse due passi. La pelle dei piedi nei sandaletti al contatto con l'erba umida le diedero una sensazione piacevole che di lì a poco le salì sulle caviglie e poi più sù.
Guardò Roger che aveva acceso una torcia e si era allontanato dall'auto precedendola di qualche passo verso la strana struttura "allora, vieni?" disse nuovamente ma la sua voce sembrava essere cambiata, Irene la trovò più profonda e con qualche nota distorta soprattutto sulle vocali, lì per lì non ci fece caso, fu quando il ragazzo tornò a parlare che se ne accorse "benvenuta a casa mia".
Si affiancò al padrone di casa e lui le fece un gesto cavalleresco invitandola a varcare la soglia buia prima di lui.
Lei rimase immobile, la sensazione piacevole che aveva provato calpestando l'erba si era lentamente trasformata in qualcosa di diverso che non riuscì a definire, l'umidità del terreno sembrava essersi fatto strada sulle sue gambe nude e ora aveva superato le ginocchia e si era infilata come due mani bramose sotto il suo abito estivo.
Roger vedendo la titubanza della donna entrò prima di lei e illuminò uno stretto corridoio con la torcia "ora certo l'interruttore e..."
Irene lo seguì rassicurata dalla luce balzellante della torcia, quella casa le tramise un forte senso di curiosità che aveva provato solo in rari momenti quando ancora bimbetta seguiva trasognata i racconti del nonno.
Stava giusto ripensando a uno di quei fantasiosi racconti quando la luce della torcia si spense lasciandola al buio totale.
"Roger, Roger" chiamò e l'eco della sua voce risuonò come se fosse in una di quelle cattedrali che aveva visitato insieme ai genitori nelle estate del liceo.
Nessuna risposta venne da parte di colui che l'aveva accompagnata fino a lì.
Camminò lentamente stendendo le braccia avanti a sé per evitare di sbattere contro qualche parete o porta, poi, finalmente le sue mani tastarono il muro alla sua destra, chiamò nuovamente il suo accompagnatore ma non ottenne nessuna risposta, quindi indecisa sul da farsi girò sui tacchi con l'inteno di uscire da quella trappola.
Camminando lentamente tentò di concentrarsi su eventuali rumori che potevano venire dalle sue spalle. Pensò che Roger in tutto questo volesse fargli uno scherzo "lo scherzo è durato pure troppo" disse ascoltando le proprie parole che però uscirono dalla sua bocca poco convinte.
Poi, con sua sorpresa, dopo aver ripercorso più o meno quei pochi passi che aveva fatto entrando, si ritrovò in una nuova stanza.
La donna guardò nel buio profondo della stanza, i suoi occhi azzurri al principio non distinsero nulla, poi a poco a poco lo sguardo sembrò abituarsi. Ombre danzavano intorno a lei, le vide, qualche secondo dopo vide i loro occhi bianchi e quando aprirono la bocca in un sorriso sgraziato notò anche i loro denti emettere un luccichio sinistro.
Chiuse gli occhi, il suo corpo fu percorso da un brivido, la paura si impadronì di lei, fu solo un attimo, poi qualcosa la sfiorò e allora, al contrario di quanto si potesse pensare, un nuovo sentimento nacque dentro di lei e la fece sussultare.
Riaprì gli occhi, sorrse e una delle ombre si staccò dal circolo che le stava danzando attorno, si avvicinò a lei, sentì il freddo che quel corpo emanava, poi d'improvviso sentì il suo tocco gelido.
Le dita di quella creatura si intrecciarono con le sue e all'orecchio destro le giunse un sussurro.
"Unisciti a noi, e avrai le risposte che cerchi"

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