giovedì 11 febbraio 2016

Recensione di The hateful eight


Che Tarantino amasse il genere western non è un mistero, che gli piacessero gli spaghetti western è assodato, e che a questo si aggiungesse tanto ma tanto sangue era cosa certa. Ora, come in "Django", anche in "The hateful eight" la vicenda è ambientata nell'america dopo la guerra di secessione, e come nel precedente film anche in questo caso la differenza tra bianchi e neri è palese e argomento di conversazione. Il film ha due ambientazioni ben definite, la prima è una diligenza che viaggia nel Wyoming a bordo della quale c'è un cacciatore di taglie con la sua prigioniera. A loro si uniranno il Maggiore Marquis Warren ex soldato nero nordista anche lui cacciatore di taglie e un altro uomo che dice di dover diventare il nuovo sceriffo di Red Rock, cittadina che la carrozza dovrebbe raggiungere in giornata. Sfortunatamente la tempesta di neve in arrivo, cambierà i loro piani e saranno costretti a fermarsi in un emporio lungo la strada dove troveranno altri quattro uomini ad attenderli.
Gli otto personaggi, racchiusi in quattro mura avranno modo di confrontare le loro idee e scontrarsi ora sull'uno ora sull'altro argomento. La tensione andrà aumentando di minuto in minuto fino a sfociare nell'inevitabile scontro.

Film molto teatrale visti gli spazi dove gli attori sono costretti a muoversi, dialoghi serrati e caratterizzazione dei personaggi, fanno sì che lo spettatore, inevitabilmente si schieri dall'una o dall'altra parte, in attesa che finalmente accada qualcosa.
La guerra di secessione è passata da un pezzo ma le vecchie rugginni sono rimaste e Samuel Jackson messo al centro della disputa visto il colore della sua pelle, dovrà vedersela non solo con dei possibili nemici fisici ma anche con le loro pressanti idee razziste.
Le due ore e mezzo abbondanti del film passano velocemente, e i dialoghi malgrado siano lunghi e pressanti non scadono mai nel banale, anzi arricchiscono il film di particolari e situazioni che andranno poi a sfociare nella violenza tarantiniana della seconda parte del film quando, una volta esaurita la favella si passerà alle vie di fatto, con spargimento di tanto, tanto sangue.
Le musiche di Ennio Morricone e la tormenta di neve che va via via aumentando, fanno il resto, dando alla pellicola la giusta tensione e la dimensione di ciò che in evitabilmente sarà l'epilogo della vicenda.
Gli attori sono magistralmente diretti e nessuno di loro prevarica il ruolo dell'altro mantenendo così un equilibrio instabile tra le diverse figure forti del film. Migliore attore non protagonista il baffo lungo di Kurt Russel. Voto 7

Nessun commento:

Posta un commento

Cosa ne pensate?