domenica 6 marzo 2016

Meadow e Bindweed la leggenda del bacile d'acqua

Le due sorelle non sono sempre state così come le conoscono i viandanti e gli abitanti della foresta. C'è stato un tempo, molti anni orsono che nella foresta viveva un'unica maga, il suo nome si è perso nella notte dei tempi e se chiedete alle due sorelle, loro stesse saranno vaghe e cambieranno di scorso.
Io sono venuto a conoscenza dei fatti una sera che, giunto alla taverna Delle Fate non trovando posto a sedere, ho chiesto ospitalità ad un ometto piuttosto bizzarro.
La creatura, bassa qualche spanna più di me e un naso bitorzoluto mi ha indicato la panca accostata al muro, poi ha continuato a mangiare le sue verdure.

Ho ringraziato e mi sono accomodato, poi per sdebitarmi di tale gentilezza ho richiamato l'attenzione della padrona del locale e ho offerto una pinta allo straniero.
Lo gnomo ha accennato un sorriso e quando i due boccali sono arrivati sulla tavola l'ha alzato e in una lingua che inizialmente ho stentato a comprendere ha espresso tutta la sua gioia.
Per avere un minimo di dialogo con il mio commensale sono dovuto ricorrere alla magia, una volta bevuto un sorso dell'ottima birra servita in quella taverna, ho posato il boccale, socchiuso gli occhi e recitato le parole della preghiera della comprensione.
Come potete immaginare mi si è aperto un mondo. In un baleno ho compreso tutto ciò che non solo il mio vicino mi stava dicendo con la sua voce stridula, ma anche il chiacchiericcio sommesso o urlato dei vicini è risultato chiaro e comprensibile.
"... qual buon vento vi porta da queste parti?" mi stava chiedendo lo gnomo con lo sguardo illuminato da una sana curiosità.
Non avendo capito la prima parte del discorso mi limitai a rispondere alla domanda "sono diretto a Trandir e mi hanno consigliato di attraversare il bosco, inizialmente avevo pensato di proseguire ma poi, visto il tempo inclemente e il fatto che non conosco la zona, ho deciso di sostare qui per la notte".
"Avete fatto proprio bene, il mio nome è Grivorgh bardo della zona, per servirla".
Lo gnomo aveva un viso che già conoscevo ma non riuscii ad associarlo a quel nome. Sapevo che spesso coloro che girano per locande cambiano nome per non essere riconosciuti o anche solo per connotarsi alla zona in cui o di cui raccontano le storie più strane e avvincenti. Presto avrebbe attaccato con la narrazione, del resto era nella sua natura, sempre se qualcuno gli dava la confidenza e l'incoraggiamento adeguato.
"Il mio nome è Khellendrox, non è che per caso conoscete le due fate che abitano il bosco?" chiesi giusto per curiosità e per capire con chi avrei avuto a che fare il giorno seguente.
"Certo che le conosco" poi si grattò la testa riccioluta e cambiando espressione iniziò a parlare sottovoce "sapete vero che un tempo in una sola ragazza albergava lo spirito di entrambe?".
Io conoscevo già quella leggenda anche se non ne conoscevo i dettagli ma per far un piacere al mio interlocutore e per curiosità negai "no, davvero?".
Lo gnomo sorrise, bevve un sorso della birra scura e poi attaccò a parlare.
"Tanti anni fa, parliamo del secolo scorso o forse di quello prima ancora, la foresta era abitata solo da folletti e gnomi, poi un giorno le ruote di un carro malandato solcarono il sentiero umido che attraversava da est a ovest la vegetazione. Tutti gli abitanti del bosco restarono nascosti, timorosi e sicuri che presto sarebbero stati spettatori di una tragedia. Il carro ballonzolava tra i sassi e le buche che rendevano il sentiero poco curato e ben presto si seppe come mai il cocchiere intimava fin troppo spesso ai cavalli di accelerare il passo. Dietro a qualche decina di metri quattro creature cavalcavano dei mostriciattoli pelosi a quattro zampe che schiumavano bava blu da bocche distorte.
La prima, quella che guidava il gruppo degli inseguitori brandiva una lunga clava dalla quale si diramavano diversi aculei che a giudicare dal colore dovevano esserre stati imbevuti di non so quale sostanza velenosa o mortale. Gli altri tre avevano armi differenti; due imbracciavano delle piccole balestre e fecero partire i loro dardi incendiari, fiammelle saettarono verso il carro e una di queste si infilzò tra le assi della fiancata destra.
Il carro in un baleno prese fuoco, gli spettatori trattennero il fiato pensando che presto qualcuno sarebbe saltato giù dal carro e invece, dal fondo si diramò un fulmine che fece precipitare e ruzzolare in terra due degli inseguitori. L'odore acre della carne strinata si unì al puzzo di fumo che lasciava il carro al passaggio lungo il sentiero.
I due inseguitori guadagnarono terreno e mentre il capo iniziò a far mulinare la sua clava l'altro caricò nuovamente la balestra pronto a colpire nuovamente il carro che seguitava a bruciare.
Il cocchiere fu affiancato dalla possente creatura che lo colpì violentemente con la mazza. Il ragazzo lasciate le briglie cadde di lato ruzzolando sull'erba, dal fondo del carro uscirono tre sfere infuocate che colpirono l'orco armato di balestra che cadde dalla sua cavalcatura restando inerte sul terreno.
L'orco rimasto piòmbò sul ragazzo che guidava il carro e sceso dal suo lupo mannaro tentò di colpirlo con la sua mazza. Il colpo fortunatamente si infranse sul terreno. Il carro prese una traiettoria strana, scartò di lato e si rovesciò, il cavallo che lo faceva muovere riuscì a liberarsi dei finimenti e fuggì nel folto del bosco.
Dal retro del carro scese una ragazzina, indossava una lunga veste viola, aveva i capelli raccolti in una crocca tenuta stretta da una spilla di legno tempestata di pietre, urlando alzò le mani e vomitò addosso all'orco parole incomprensibili ai più. Un cono di fuoco scese dal cielo e investì la creatura che bruciò in un attimo.
Di lui non restò che un mucchietto di cenere fumante.
La ragazza si precipitò accanto all'uomo che riverso a terra si lamentava sommessamente tenendo gli occhi chiusi e l'espressione del suo volto trasudava di dolore e tormento.
La maga si chinò su di lui e tentò di guarirlo con la magia ma a nulla valsero tutti i tentativi che ella fece. Il giovane spirò tenendo la sua mano e lei pianse la scomparsa del suo amato".
Io guardai ansioso lo gnomo, ancora non aveva spiegato come la donna fossero diventate due, non dovetti comunque incitarlo a proseguire perché lui dopo aver bevuto un altro sorso di birra proseguì sommessamente "ti chiederai come si è poi sdoppiata, ebbene te lo vado a raccontare ora".
"Con l'animo sconvolto dalla perdita di Pegriv, si sciolse i capelli e iniziò a correre nel bosco. La ragazza piangendo raggiunse una piccola radura al centro della quale c'era un bacile in marmo. Si accostò alla piccola struttura con l'intento di lavare dal viso le lacrime che copiose avevano rigato le sue guance ma quando si specchiò non vide la sua figura ma bensì una ragazza coi capelli scuri con sguardo fiero che la fissava. Lei un po' spaventata si scostò  e guardò i suoi vestiti, con stupore notò che gli abiti non erano quelli che indossava in precedenza e i suoi capelli lunghi scivolati oltre le spalle si erano schiariti a tal punto da prendere riflessi argentati.
Guardò verso la bacinella marmorea confusa, poi si guardò attorno, il cielo si era imbrunito e la vegetazione sembrò incombere su di lei, dall'acqua contenuta nella vasca uscì la fanciulla che aveva visto in precedenza, le si avvicinò e la strinse in un abbraccio caldo e confortante "sorelle per sempre, prigioniere e protettrici della foresta" queste furono le sue parole prima che entrambe scivolarono in un lungo sonno ristoratore".
Sospirai e vedendo il boccale del mio commensale vuoto chiamai nuovamente Irene perché ne portasse un altro, fu lo gnomo a fermarmi "lasciate stare mastro nano, ora devo riprendere il mio viaggio, mi ha fatto piacere mettervi al corrente di come sono nate Meadow e Bindweed, sappiate solo che entrambe conservano lo spirito della maga dalle quali sono nate ma entrambe possono essere buone o cattive al contempo e spesso non hanno esitato di fronte a viandanti con cattive intenzioni. Conosco la vostra nomea, so quanto siete potente, ma vi esorto a mantenere la calma qualunque cosa accada e a controllare la vostra collera, potreste non uscirne vivo dalla vegetazione che vi separa dalla vostra meta".
Lo ringraziai per i consigli e prima che potesse allontanarsi dal tavolo gli porsi un sacchetto contenente alcune monete "voglio che accettiate questo obolo per il vostro racconto e per le vostre necessità".
Lui non disse nulla, prese il sacchetto e lo infilò nella tasca profonda della sua lunga palandrana, salutò Irene come se la conoscesse da tempo e poi uscì.
Rimasi seduto al tavolo da solo, meditai sul racconto dello gnomo, poi come da accordi con la padrona della locanda mi recai nella camera e dopo le orazioni della sera precipitai in un lungo sonno.

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