lunedì 25 luglio 2016

Frenesia notturna

La giovane donna da giorni era inquieta, le era sembrato più volte di vedere ombre passarle accanto, durante le notti insonni per il caldo estivo, le era parso di sentirsi sfiorar la pelle da sottili dita incorporee.

Quella sera aveva passeggiato nel parco per diverse ore prima di rincasare, poi sfinita si era coricata e le palpebre le si erano fatte pesanti. Caduta in un sonno profondo aveva sognato di una presenza che vicina a lei l'aveva presa tra le braccia e trasportata volando, fuori dalla finestra fino ad una struttura fatiscente in pietra. 
Un brivido le percorse la schiena e un soffio di aria fredda le sferzò il viso, aprì gli occhi sbattendo le palpebre, le ci volle qualche secondo prima di abituarsi al buio della stanza aliena in cui si trovava. Sicuramente non era più in camera sua, il pavimento freddo e umido sotto il suo corpo era scomodo e duro. La stanza era spoglia e dall'unica piccola finestra entrava solo un filo di luce probabilmente proiettata dalla luna piena.
Faticosamente si mise a sedere, era indolenzita ma non avvertiva dolore. Sentì uno strano senso di nausea salirle dallo stomaco, poi deglutendo lo ricacciò indietro. Dopo quella sensazione sgradevole, in lei crebbe qualcosa di inaspettato, come un'onda la travolse, un dolore sordo la fece ruzzolare sul pavimento, cercò conforto nella parete fredda e frastagliata della stanza, al suo orecchio giunsero i rumori più impercettibili, i canini crebbero e il suo viso fu trasfigurato in un espressione animalesca, poi il silenzio la travolse e dallo stomaco salì la fame.
Batté i pugni sul muro, aprì la bocca per urlare la sua furia, inizialmente nessun suono uscì da quella voraggine nera asciutta, poi, un sibilo e infine il silenzio fu squarciato da un urlo acuto. 
Nessuna risposta venne a quell'urlo. Ophelia, tentò di calmarsi ma a nulla valsero i respiri profondi e il ritrovare una posizione più comoda.
Si guardò attorno, ora il velo che le aveva offuscato la vista si era squarciato e vedeva molto bene anche nella completa oscurità degli angoli di quella piccola prigione. Ragni, scarafaggi e mosche popolavano quello spazio e con la loro moltitudine di occhi la guardarono, lei in tutta risposta digrignò i denti, poi sicura, mosse i passi verso la pesante porta, unica barriera che la divideva dalla libertà.
Lunghi artigli affilati erano cresciuti velocemente propaggini delle sue dita affusolate, con foga le usò grattando la superficie fredda e liscia. Sfinita e sfiduciata le gambe non la sostennerò e lentamente si accasciò sul pavimento sconnesso. Gli occhi tornarono a farsi pesanti e velocemente sprofondò in un sonno inquieto.
Si svegliò di soprassalto quando la luce del nuovo giorno arrivò a baciarle il viso. Lentamente aprì gli occhi paurosa di trovarsi ancora in quella fredda e squallida prigione, fortunatamente non fu così. Intorno a lei un ambiente famigliare e accogliete, la sua camera.   (Foto di Marco Elli)

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