giovedì 7 aprile 2016

La fata Alhe

Che i boschi fossero abitati da creature leggendarie ne ero consapevole, e dopo essermi imbattuto in elfi, fauni, fate, e altre creature più o meno buone, pensavo di aver visto qualunque cosa e invece, questa volta, dovetti ricredermi.

Qualche tempo fa, la principessa Ahirora mi aveva fatto chiamare d'urgenza, il suo figlio minore sembrava affetto da una malattia che i cerusici e i chierici chiamati a corte non avevano saputo curare e lei, aveva riposto in me tutte le sue speranze.
Il viaggio durò qualche giorno e io, poco propenso ad essere paziente, raggiunto che fu il quarto giorno di marcia iniziavo a diventar nervoso.
Avevo portato con me due dei miei uomini più fidati pensando di poter introvare degli imprevisti sulla strada, già il secondo giorno, iniziai a sperare di incontrar qualche intoppo che per fortuna o per caso non avvenne.
Quando raggiunsi il piccolo villaggio dove la principessa aveva costruito il suo castello notai un certo fermento, i cittadini correvano per le strade parlottando tra loro, sembravano eccitati per qualcosa che stava accadendo o doveva accadere.
Arrivato davanti al portone le guardie mi fecero solo poche domande e poi mi fecero entrare, ai miei due accompagnatori fu interdetto l'ingresso e quindi, a malincuore lasciai loro la giornata libera.
"La principessa Ahirora mi ha fatto chiamare per curare le condizioni del figlio" dissi al ciambellano che si presentò a sbarrare il mio cammino.
Mi guardò sospettoso e quindi gli consegnai la missiva, lui lesse rapidamente la pergamena sgualcita poi sfoggiò un grande sorriso "è già arrivata una piccola elfa, lei si sta prendendo cura del piccolo Giacomo".
Contrariato più con me stesso che con l'omuncolo cercai una scusa per poter assistere alle cure in cui si stava producendo l'elfa. L'uomo per nulla sorpreso della mia richiesta, acconsentì a guidarmi fino alla stanza dove il piccolo principe era ricoverato.
Bussai leggermente e non ottenendo alcuna risposta aprii la porta lentamente e cercando di far meno rumore possibile entrai.
La stanza era immersa nella penombra, il mobiglio era scarso, notai uno scrittoio, una sedia piuttosto robusta e un grande letto a baldacchino al fianco del quale inginocchiata stava una figura che era circondata da una luce intensa.
Richiusi la porta alle mie spalle e rimasi immobile e silente appoggiandomi al legno freddo e massiccio.
L'elfa stava cantando e muoveva le mani lentamente portandole sopra al numero considerevole di coperte che coprivano il corpo di Giacomo.
Inizialmente non riuscii a comprendere quali fossero le parole che soavi uscivano dalla bocca della giovane elfa, poi, ricorrendo ad un piccolo incantesimo, appresi si trattava di un dialetto elfico piuttosto arcaico.
L'elfa stava chiedendo alla divina Ehra di darle la potenza e la forza per curare il malessere che attanagliava il giovane principe. Quando la sua voce le si spense in gola, dalle sue mani sgorgò una luce arancione che si propagò verso il letto.
La fata si alzò, prese un'ampolla che in precedenza aveva posato su un tavolino basso e versò il contenuto in una tazza, disse alcune parole che non compresi e poi si avvicinò al letto.
"Bevi" disse tornando a parlare la lingua comunemente usata in quella regione e aiutò Giacomo che era immerso nella luce arancione, a bere l'infuso.
Fu allora che venni spinto verso il centro della stanza, qualcuno, piuttosto forte, volendo entrare nella stanza aveva spinto la porta sulla quale ero mollemente appoggiato. Quasi persi l'equilibrio e nel tentativo di riprendermi l'armatura che indossavo tintinnò violentemente.
L'elfa mi guardò e sospirò, poi sorrise e tornò a guardare il malato.
Alle mie spalle un uomo alto quasi il doppio di me, senza neppure degnarmi di uno sguardo, mi superò e raggiunse il letto "come sta?" chiese un po' sbrigativo.
"Starà bene, mio signore" disse l'elfa alzando il capo e guardando il nuovo arrivato "starà bene" ripeté scandendo le parole forse per rassicurare il gigante che si era avvicinato.
L'uomo accarezzò delicatamente la fronte del fanciullo che sdraiato non disse nulla, poi ritirò la mano velocemente come se si fosse scottato.
"Vi lascio" disse in un sussurro e camminando veloce mi si affiancò "Khellendrox, meglio tardi che mai" disse ridacchiando e uscendo dalla stanza.
Mi rimproverai di aver fatto tardi ma in cuor mio seppi immediatamente che il giovane era in buone mani.
Restai in silenzio e tornai a guardare le cure che l'elfa stava nuovamente prestando a Giacomo, si era nuovamente inginocchiata e nuovamente stava pregando.
La luce arancione intorno alla sagoma del malato divenne rossastra, poi viola e in fine assunse una sfumatura lilla. Il tutto durò solo pochi istanti, quindi la stanza piombò nella totale oscurità.
Giacomo tossì e si mise a sedere l'elfa gli porse le mani e i due restarono immobili in quella posizione non saprei dire per quanto.
A spezzare quel momento quasi infinito arrivò Ahirora con un candelabro piuttosto elaborato, mi salutò senza emettere un suono, limitandosi ad abbassare il capo e sorridendo, poi si affiancò all'elfa.
"Alhe, grazie di cuore"
"Non è stato nulla, Ehra ha ascoltato le mie preghiere" si limitò a dire l'elfa alzandosi e venendomi incontro "mastro nano" salutò abbozzando un sorriso sornione.
Non dissi nulla, lasciai la stanza uscendo alle sue spalle e richiudendo la porta.
Non fraintendetemi, solitamente non amo parlar bene degli elfi, ma in questo caso devo ricredermi, incontrai nuovamente Alhe, quando per caso mi trovai ad attraversare il bosco di Rahalg, in quell'occasione, accostandomi alle acque placide del fiume che scorre al suo interno, la scorsi intenta a canticchiare una canzone delle ninfe, non la interruppi fino a quando la sua voce argentina emise l'ultima nota, poi mi salutò cordialmente e mi fece entrare nella sua casetta, lì, si dimostrò molto ospitale, mi offrì una bevanda dolciastra e riuscimmo a chiacchierare a lungo. Mi raccontò della sua formazione e dei poteri che le venivano dalla dea Ehra, poi mi chiese della mia formazione clericale e cosa mi portasse ad attrversare quel bosco dove lei e le sue sorelle abitavano quasi in completa solitudine.

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