mercoledì 13 aprile 2016

Il contagio

Da una decina di giorni, la piccola cittadina era da considerarsi "contaminata" e da allora Marina era uscita sempre meno dalla propria abitazione.
Più di una volta aveva considerato l'idea di abbandonare la propria casa ma poi aveva sempre scartato quell'idea non perché fosse particolarmente legata a quella città o avesse qualcuno che le impedisse di fare quel passo, ma piuttosto per via di Dick, era vecchio e mal sopportava la macchina, soprattutto la sua, una piccola utilitaria oramai piuttosto vecchia e rumorosa.

Quella mattina era uscita presto, era salita in macchina e aveva percorso il viale a velocità ridotta, alcune delle case che costeggiavano l'arteria erano state palesemente abbandonate oramai da qualche tempo, in alcune, i proprietari, avevano inchiodato a porte e finestre delle assi di legno, probabilmente per evitare furti. Altre invece, al contrario, avevano porte e qualche finestra spalancate.
Raggiunto il centro, aveva parcheggiato nella piazzetta, stranamente i negozi avevano quasi tutti le serrande abbassate, il parco, solitamente affollato di anziani e bambini, era desolatamente deserto, percorse la viuzza che portava al market guardandosi attorno e ad un certo punto, le sembrò di scorgere una figura femminile rientrare sotto un voltone, non se ne curò più di tanto e continuò a camminare spedita.
Raggiunto il centro commerciale, constatò con rabbia che anche quello era chiuso e quindi fu costretta a tornare alla macchina a mani vuote "per oggi niente spesa" pensò tra sé e sé.
Appena sbucò nella piazzetta principale una donna le venne incontro di gran carriera, Marina non fece in tempo a dirle nulla, e neppure a scansarsi. fu travolta e gettata in terra, la caduta fu rovinosa, battè le testa sul marciapiede e svenne.
Quando riprese i sensi e aprì gli occhi, era sdraiata in terra, il soffitto sopra di lei e le pareti erano irregolari quasi fosse finita in una grotta, tentò di rammentare se nei dintorni vi fosse qualcosa di simile ma non le venne in mente nulla, si puntellò con le mani per cercare di mettersi a sedere ma appena sollevò la testa, tutto iniziò a girare vorticosamente e così tornò a sdraiarsi.
Poco dopo sentì dei passi strascicati e ben presto comparve nel suo campo visivo una figura umana, i lineamenti del viso erano quasi del tutto irriconoscibili e una leggera bava le scendeva dalla bocca. Marina iniziò a tremare, aprì la bocca per urlare ma dalla sua gola non uscì alcun suono.
La donna si accucciò vicino a lei, l'odore era insopportabile, pose una mano sulla pancia di Marina e l'accarezzò come se fosse una bimba da rassicurare, poi la guardò e allargò la bocca in una smorfia sgraziata.
Marina, immobilizzata dalla paura, restò a terra attendendo la morte.
Aveva sentito parlare di quegli esseri contaminati, a molte di quelle storie da bar non aveva dato peso, ad alcune, dette da persone rispettabili e che conosceva aveva in parte creduto pensando che le avessero comunque ingigantite, ora trovandosi in quella situazione ripensò a quello che aveva detto Mario al bar, la storia della sua bambina, un uomo curvo e rugoso, era entrato in casa e dopo aver sbattuto in terra l'anziano, aveva presa per un braccio la ragazzina e trascinata fuori in cortile, poi insieme, erano scomparsi.
Ora le stava accadendo la stessa cosa, e cosa voleva farle quella donna?
La creatura si chinò ulteriormente su di lei come se volesse esaminarla, dalla sua bocca uscirono dei suoni disarticolati, poi spalancò le fauci in maniera anomala e avvicinò la propria bocca all'orecchio della ragazza, fu questione di pochi secondi, poi fu tutto buio.
Quando Marina riaprì gli occhi era in camera sua, nel suo letto, la radio, sopra al comodino, stava dicendo di restare in casa, l'esercito sarebbe arrivato molto presto e avrebbe riportato tutto alla normalità, bisognava solo pazientare. (Foto Daniele Piombo)

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